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Fuga nelle tenebre
Fuga nelle tenebre | Arthur Schnitzler
Nella "Fuga nelle tenebre", che fu pubblicata nel 1931, poco prima della morte dell’autore (ma la stesura originaria è degli anni 1912-1917), Schnitzler raggiunge la massima intensità di narratore. La storia è quella della graduale, consequenziale germinazione di un delirio. Qui il racconto non è, come sempre in Schnitzler, cosparso di accenni al fondo oscuro della psiche, ma in certo modo costringe quel fondo ad apparire in primo piano, sotto una luce fredda e limpida. Insediati all’interno della psiche del protagonista, assistiamo al primo infiltrarsi in essa di una serie di presentimenti e ammonimenti, che subito fanno oscillare tutta la realtà, gettandola in un’incertezza simile a quella dei sogni. Poi, in una progressione sempre più angosciosa, ci accorgiamo che ormai una rete di ossessioni si è posata sul mondo. A poco a poco, le sue maglie si stringono crudelmente e tutto ciò che avviene converge verso un unico punto di fuga: le tenebre. Come i cinque casi clinici di Freud appartengono, oltre che ai testi classici della psicoanalisi, alla grande letteratura del nostro secolo – sicché Dora e l’Uomo dei lupi e il piccolo Hans si sono ormai allineati accanto ai personaggi di Balzac e di Dostoevskij – così questo stupendo racconto di Schnitzler va anche letto come un’analisi dell’insorgere di un delirio ossessivo, sbalorditiva per la sua nettezza, illuminante in ogni particolare, avvicinabile solo ai grandi testi di Freud. E la figura di Freud stesso sembrerebbe qui adombrata in uno dei personaggi: il dottor Leinbach, «spettatore molesto e filosofo».
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